Uno degli argomenti legati al mondo del lavoro di cui si è più parlato a partire dalla seconda metà del 2021 riguarda la “great resignation”; il fenomeno per cui si sarebbe raggiunto un numero record di lavoratori che hanno lasciato volontariamente il lavoro.
In particolare, molta della narrazione si è focalizzata sul numero assoluto di lavoratori che hanno lasciato il lavoro durante il secondo anno di pandemia, attribuendo il fenomeno alla ricerca di un migliore stile di vita, o riprendendo alcuni temi già emersi in passato come quello del “downsizing”, del “fai quello che ti piace” o della “decrescita felice”.
In diverse discussioni il tema è affrontato basandosi sulle “sensazioni”; si citano esempi di persone che si conoscono direttamente o indirettamente, si fa la tara con quello di cui “si è sentito”, un po’ alla stregua del “mio cugino mi ha detto”.
Da un lato sicuramente esiste un tema diffuso, che è andato ad accentuarsi, legato a soddisfazione, salario e condizioni di lavoro. Dall’altro lato, il fenomeno è interessante e meritevole – come spesso mi piace – di un approfondimento basato sui dati.
In particolare, una fonte interessante da analizzare è il dato costantemente monitorato dal Bureau of Labor Statistics sull’andamento dell’occupazione e del turnover negli Stati Uniti, paese che per primo ha dato voce e amplificato il fenomeno.
I numeri ci raccontano una storia parzialmente diversa
I più recenti dati pubblicati a gennaio 2022 evidenziano che nel mese di novembre 2021 4,5 milioni di lavoratori statunitensi hanno lasciato volontariamente il loro impiego. Un numero che rappresenta il 3% di tutta la forza lavoro nonfarm (numero di lavoratori che esclude i proprietari, i dipendenti domestici privati, i volontari non retribuiti, i dipendenti agricoli e i lavoratori autonomi privi di personalità giuridica).
Se ad una prima lettura questo numero può far pensare ad un “record”, analizzando la serie storica nel periodo 2000-2021 il dato può essere messo in una certa prospettiva.
Innanzitutto, la linea di tendenza del tasso % di abbandono evidenzia una discreta regolarità, inoltre se si prendono i valori totali degli ultimi 4 anni (rolling novembre) il numero assoluto degli abbandoni volontari non presenta grossi salti – 43,3M nel 2019, 45.5M nel 2019, 40.0M nel 2020 e 48.8M nel 2021 – tenuto conto che il 2020 ha visto un numero elevato di fuoriuscite non volontarie nei mesi di marzo e aprile a seguito della promulgazione negli USA dello stato di emergenza all’inizio della pandemia (si veda grafico sotto).
Non tutti i settori sono colpiti allo stesso modo dal fenomeno
Altra prospettiva interessante è quella per settore. Non tutti i settori hanno assistito ad un’ondata di dimissioni in massa. Sebbene il tasso di abbandono nel mese di novembre 2021 (3%) sia più elevato del solito, pochi settori incidono per la maggior parte del picco, mentre gli altri rimangono al di sotto della media mensile.
Il tasso di abbandono più elevato nel mese di novembre 2021 riguarda l’alloggio e i servizi di ristorazione (6,9%) seguito dal commercio al dettaglio (4,4%) e dai mestieri legati ad arte e intrattenimento (3,7%).
Abbandonare il lavoro per cosa?
Un elevato tasso di turnover rappresenta comunque una inefficienza nonché un costo in termini di tempo e denaro sia per le aziende che per i lavoratori. Assumere e formare nuovi impiegati è costoso per le aziende così come è fisicamente ed emotivamente impegnativo cercare e cambiare lavoro per i dipendenti.
Interessante da questo punto di vista è anche il confronto tra nuove assunzioni e dimissioni volontarie durante il periodo della pandemia. A parte il picco di assunzioni immediatamente successivo alla fase acuta di licenziamenti, i due trend hanno un andamento alquanto allineato.
Idealmente chi decide di abbandonare un lavoro infatti dovrebbe trovarne prima un altro. La possibilità di successo nel passare da un lavoro all’altro è decisamente maggiore rispetto al tentativo di passare dalla disoccupazione al lavoro. A meno che chi non decida di lasciare il lavoro non lo faccia definitivamente, per vivere di rendita o andare a fare il guru.
In sintesi: un fenomeno non “eccezionale” su cui comunque riflettere
Alla luce di queste evidenze, parlare di “record” e di fenomeno di “grandi dimissioni di massa” risulta forse esagerato, tuttavia non significa che non ci siano dei reali temi alla base dell’elevato turnover. Ma questi temi sembrano essere pre-esistenti rispetto al periodo pandemico.
Sicuramente la pandemia ha stimolato una maggiore consapevolezza sull’importanza e il senso delle cose che vanno oltre la sfera lavorativa, sul work-life balance e sugli obiettivi individuali che ciascuno si pone. Ma attribuire a questo una forte spinta all’abbandono indiscriminato e di massa del lavoro risulta forse esagerato così come lo è il titolo sensazionalistico “the great resignation” dato al fenomeno.
Note a margine
La fonte dei dati utilizzati è il Bureau of Labor Statistics (https://www.bls.gov/home.htm)
Le elaborazioni ed i grafici sono sviluppati con Power BI®. Produrre analisi e dashboard interattive non è mai stato così semplice grazie a Power BI®. Per saperne di più contattami.